La storia

    Storia del museo

    Museo della Collegiata di Sant’Andrea

    Il Museo della Collegiata di Sant’Andrea nasce il 29 giugno del 1859 quando, sullo sfondo dei moti risorgimentali tesi a realizzare l’Unità d’Italia, anche a Empoli si sentì il bisogno di «fare il Museo». Si chiamò di Sant’Andrea o della Collegiata perché la maggior parte delle opere proveniva da quella chiesa e, fin da subito, alcuni locali del complesso monumentale dell’antica Pieve furono individuati come sua sede.

    Fu il Governo provvisorio della Toscana a elargire, all’Opera di Sant’Andrea, «un sussidio di Lire Toscane seimila pari a italiane 5040» per il restauro dei monumenti d’arte della chiesa a patto che l’Opera, il Capitolo, il Proposto e il Municipio si impegnassero nel restauro dell’edificio. Già il 13 febbraio del 1860 si comunicava al Ministero che la Compagnia di San Lorenzo, all’interno della Collegiata, era la sede destinata alla istituenda pinacoteca. L’antico oratorio, da tempo utilizzato come semplice magazzino, venne trasformato in un locale «a modo di Galleria» adatto a ospitare quelle opere che non potevano essere conservate in modo conveniente sugli altari della Chiesa. Finalità, dunque, espositive e conservative che vennero ribadite nel 1862 quando la Compagnia di San Lorenzo viene descritta come «Galleria per la miglior mostra e conservazione degli oggetti interessanti le belle arti».

    In questo senso, dunque, la nascita del Museo della Collegiata non può prescindere dal clima culturale maturato a Firenze nella prima metà dell’Ottocento grazie a quel gruppo di intellettuali moderati, sostenitori di una visione pedagogica della storia e dell’arte, viste come fondamento del progresso civile e morale del popolo. La conservazione e la tutela delle memorie del passato erano ritenuti fondamento dell’identità nazionale e i musei luoghi chiamati, fondandosi sull’orgoglio municipalistico, a costruire il punto di partenza da cui iniziare l’incivilimento di una nuova Italia, alimentata dagli ideali laici e progressisti delle nuove élites risorgimentali. Membro di quelle élites era Vincenzo Salvagnoli, Ministro degli affari esteri del Governo provvisorio, protagonista indiscusso del liberalismo toscano, collaboratore dell’“Antologia Italiana”, membro del Gabinetto Viesseux e esponente di un’antica famiglia empolese che poteva vantare una propria Cappella in Collegiata e padre, a tutti gli effetti, del Museo della Collegiata di Empoli.

    Nel 1863 il Museo aveva un assetto definitivo; all’agosto di quell’anno si data l’Inventario dei quadri e delle sculture raccolti già nella Compagnia di San Lorenzo redatto dal regio ispettore Carlo Pini. La collezione vantava 54 opere, i due terzi della collezione attuale, ma già con tutte o quasi le presenze più significative. Figurano, tra l’altro, i dossali dei Botticini, il Trittico di Lorenzo Monaco proveniente da San Donnino e alcune opere donate con generosità dai privati che, sin dall’inizio, riconobbero il ruolo culturale svolto dal museo. Una delle opere più importanti, la piccola Maestà di Filippo Lippi, fu donata da Carlo Romagnoli; ad accrescere con grande liberalità ed entusiasmo il patrimonio del museo si aggiunsero in seguito donazioni di altre illustri famiglie empolesi come i Del Vivo, i Cannoni, i Bogani. In questa esibizione di generosità non poteva mancare la famiglia Salvagnoli a cui vanno riferiti sia il tondo robbiano con Dio Padre, ma soprattutto il dossale del San Sebastiano di Antonio Rossellino, opera celebrata da Vasari e ritenuta, tra Otto e Novecento, uno dei vertici della statuaria rinascimentale.

    Negli anni Ottanta dell’Ottocento, il pittore empolese Vincenzo Lami, allievo di Giuseppe Bezzuoli, riuscì ad acquisire un altro ambiente per la sistemazione delle opere e ad aprire la raccolta al pubblico. Primo ordinatore della raccolta fu Guido Carocci, ispettore della Soprintendenza, profondo conoscitore del territorio e dei suoi tesori. Questi, oltre a promuovere un intervento di restauro e di schedatura delle opere, diede una prima sistemazione scientifica alle collezioni sulla base dei principi informatori di fine Ottocento, che riconoscevano nel museo il luogo privilegiato di raccolta del patrimonio artistico con finalità squisitamente didattiche. I dipinti furono esposti in ordine cronologico, venne creata una sezione speciale per sculture e terrecotte, e i preziosi codici miniati furono esposti in un’ampia vetrina. Il nuovo ordinamento del Museo, iniziato nel 1894, si concluse nel 1899. Il catalogo, che comprendeva 69 opere, venne pubblicato su Le Gallerie Nazionali Italiane. Facevano ora parte della collezione il nucleo delle robbiane provenienti da Santa Maria a Ripa, i preziosi codici miniati e altri ‘primitivi’.

     

    Alla fine degli anni Trenta del secolo scorso, il rapido incremento delle opere impose l’ampliamento del Museo nell’attuale sede, separata ma contigua alla Collegiata. Il progetto fu affidato all’architetto Piero Sampaolesi, che suggerì la realizzazione di due grandi sale per le opere di scultura e pittura di dimensioni maggiori e il restauro del chiostro per l’esposizione delle robbiane. La guerra interruppe il progetto e provocò danni ingenti alla Collegiata e alle opere d’arte del Museo. Vennero distrutti, oltre al soffitto della Collegiata, anche alcuni dipinti ricoverati nel Museo: la Deposizione di Raffaello Botticini, la cui predella, che si trovava all’epoca a Firenze, è attualmente esposta nel Museo, l’Esaltazione della Croce e l’Ultima Cena del Cigoli, la Visione dell’Apocalisse di Francesco Ligozzi e la Presentazione al tempio di Jacopo da Empoli.

    Soltanto nel 1956 si giunse alla riapertura del Museo secondo il progetto dell’allora Soprintendente Guido Morozzi e l’ordinamento di Umberto Baldini. Al Museo, articolato su due piani in sei stanze, più la loggia coperta prospiciente il chiostro, si accedeva dal cortile della Collegiata. Le opere erano esposte secondo criteri di godibilità estetica cercando di valorizzare i singoli pezzi, in modo da esaltarne la qualità e la specificità. Risale a quest’epoca l’ultimo consistente incremento di opere d’arte nella collezione con l’ingresso di alcuni capolavori, quali i Santi Giovanni Evangelista e Michele del Pontormo, l’Annunciazione di Bernardo Rossellino e il San Nicola da Tolentino di Bicci di Lorenzo. Le opere esposte nel 1956 apparivano per la massima parte restaurate; restauri quasi sempre di eccellente qualità.

    Alcune soluzioni museografiche, come i grandi lucernari che garantivano l’ingresso della luce naturale dall’alto, consentendo la corretta lettura e la piena godibilità delle opere, nel corso degli anni si sono rivelate particolarmente nocive per le opere custodite, a causa dei bruschi sbalzi di temperatura. Per questo nel 1990 si è reso necessario un intervento di ristrutturazione, teso a eliminare non solo l’effetto serra, ma anche a mettere a norma l’impiantistica e adeguare l’allestimento a più attuali principi di correttezza storica e godibilità estetica.

    I Santi del Pontormo sono stati per questo spostati nella chiesa di San Michele Arcangelo a Pontorme, l’Annunciazione di Bernardo Rossellino sull’altare dell’omonima Compagnia nella chiesa di Santo Stefano degli Agostiniani così come il San Nicola da Tolentino che protegge Empoli dalla peste di Bicci di Lorenzo.

    Nella sistemazione delle opere si è seguito l’ordinamento scientifico del Carocci e il piano inferiore è stato destinato agli affreschi e alle sculture. Il Vir dolorum di Masolino è stato ricollocato nel Battistero, suo luogo di origine; questo ha consentito di riunire gli altri affreschi in questo ambiente.

    Nell’antica sagrestia sono state sistemate le sculture, ricoverando all’interno opere non invetriate e per diversi anni collocate nel loggiato, pregiudicandone la conservazione. Il piano superiore è ora destinato alla pinacoteca: i dipinti sono ordinati in senso cronologico e le opere di uno stesso artista o di uno stesso ambito sono state riunite. Nel loggiato prospiciente il chiostro sono esposte le robbiane, già sistemate qui nell’allestimento del 1956.